Michela Brambilla, gli italiani inneggianti al nuovo Popolo della Libertà, che fine faranno?
«Nessuna brutta fine», risponde con prontezza. Ma in poco più di 24 ore, la 'Rossa' della Brianza ha dovuto mettere d'accordo la gioia per la caduta di Prodi al congelamento temporaneo del Pdl decretato da Silvio Berlusconi. Nonostante questo, la lady alla guida dei Circoli della libertà si prepara a una nuova fase e, da Lecco - dove ieri ha fatto tappa il pulmino del Popolo della libertà - rilancia: «Riprenderemo quel progetto in corso d'opera».
Ovvero?
«Quando saremo al governo, ma - promette - cercheremo di non ripetere lo stesso errore del Pd».
Perché, prevede una difficile coabitazione nuovo partito-premier?
«No, appunto, dico che noi staremo attenti».
Il Cavaliere è deciso: niente Pdl, alle elezioni con il simbolo del 2001.
«Non siamo irresponsabili, i tempi stretti non consentono di dedicarci, ora, al Popolo della libertà. L'obiettivo è il voto in aprile».
E la costituente del Pdl, già fissata per il 27 marzo?
«Slitterà di qualche mese».
I Circoli avranno una lista propria o confluiranno in Forza Italia?
«Lo decideremo in questi giorni. I Circoli avranno un ruolo attivo, ma non credo ci sia tempo per fare una lista autonoma».
Ma se Napolitano avviasse un governo istituzionale?
«Beh, allungando i tempi a giugno, già si potrebbe valutare meglio l'ipotesi. Però, per il bene del Paese, sarebbe meglio votare subito».
Con il centrodestra in campagna elettorale, lei sarà una delle new-entry...
«Ma io sono in campo da tempo!».
Sarebbe comunque l'esordio come candidata parlamentare.
«Non guardo ai ruoli, io ho tre priorità in testa: tagli strutturali alla spesa pubblica, liberalizzazioni (privatizzare le municipalizzate, per esempio), cambio del sistema di controllo della responsabilità negli uffici pubblici».
Formigoni sogna ancora «un Pdl in corsa da solo, come il Pd». Lei?
«Ha ragione in via teorica ma, come ho già detto, il tempo stringe».
II governatore della Lombardia teme che tornino, a parti invertite, i veti paralizzanti dei partitini...
«Io dico che servirà un contratto vincolante tra i partiti in modo che il programma elettorale possa essere portato a termine senza se e senza ma. Stavolta, infatti, dato che il centrodestra conquisterà una maggioranza amplissima, non ci sarà bisogno di un altro contratto con gli italiani, ma di un ‘contratto interno', quello sì».
Anche Fini dice: attenzione a non imbarcare tutti dalla nostra parte.
«Appunto, bisognerà condividere obiettivi, vale anche per l'Udeur».
Com'è possibile che tra Fini e Berlusconi siano venute meno tutte le distanze?
«Gli obiettivi e i valori programmatici sono sempre stati gli stessi».
Casini è recuperabile?
«Penso che, alla fine, anche lui capirà che non è possibile il miracolo: ossia l'accordo in breve tempo sulla legge elettorale».
Ipotesi 'staffetta': chi sarà il Gordon Brown di Berlusconi?
«Non funziona... C'è un solo possibile Blair e al tempo stesso Gordon Brown in Italia: Berlusconi».
Cosa pensa della vicinanza tra Veltroni e Montezemolo?
«Il leader di Confindustria mi fa girare la testa con le sue continue dichiarazioni discordanti. Credo che ormai Montezemolo rappresenti solo se stesso».
L'ha meravigliata la gazzarra scoppiata in Senato?
«Poi ci si chiede come mai gli italiani non abbiano più fiducia in questa classe politica. A proposito, vorrei aggiungere che saluto positivamente le dimissioni da governatore della Sicilia di Cuffaro. Ma avrebbe dovuto darle subito».
(da QN, Marcella Cocchi, 27/01/08
lunedì 28 gennaio 2008
CON IL POPOLO DELLA LIBERTÀ VERSO LE ELEZIONI
Questa non dovrà essere una crisi come lo sono state tante altre in sessant'anni di Repubblica. Se nonostante gli indegni balletti di Prodi si andasse alle elezioni - e io spero ardentemente che ci si possa andare al più presto, per il bene del Paese - non basterà dunque cambiare Governo. Bisognerà anche cambiare molto di questo sistema politico che pare arrivato anch'esso ormai al capolinea. Serve quello spirito di novità che ha affermato Silvio Berlusconi fondando il Popolo della Libertà. Non si tratta soltanto di rimettere in sesto il Paese, ma di ripristinare quei principi e quei valori di libertà e poi quei programmi di sviluppo e quei metodi di gestione della cosa pubblica che il Governo Prodi, in questi due anni, ha distrutto al punto da lasciarci in eredità soltanto macerie.
Alle elezioni il Popolo della Libertà vincerà. Ne sono convinta. E con esso otterranno importanti risultati anche tutti i partiti che oggi si riconoscono nello schieramento del centrodestra. Ma c'è una ragione di questo successo annunciato: il Popolo della Libertà rappresenta quei milioni di donne e di uomini che non chiedono solo un Governo capace, efficiente e onesto. Gli italiani che si riconoscono nel Popolo della Libertà sono quelli che vogliono opporsi a quel sentimento di sfiducia - tra cittadini e Istituzioni e soprattutto tra cittadini e politica - che in questi giorni tanti stanno documentando.
Noi lo abbiamo capito per tempo e mi auguro che altri abbiano chiara la stessa percezione: senza un cambiamento radicale del modo stesso di fare politica, c'è il rischio di ripetere gli errori che nel passato hanno fatto nascere, crescere e alimentare quell'indegna casta che ha sostituito i propri interessi a quelli dei cittadini.
Probabilmente, senza il malgoverno di Prodi, non saremmo arrivati a tanto. Ma ora è questa la realtà che abbiamo di fronte e non possiamo far finta di non vederla, oppure di sottovalutarne valenza, portata e dimensioni. E aggiungo: giusto, anzi indispensabile varare, quando ciò sarà possibile, una riforma elettorale che porti alla creazione di grandi partiti che assicurino maggiore stabilità alle Istituzioni e più ampi poteri decisionali a chi ha il compito di governare. Così come è giusto prepararsi a quelle riforme di cui il nostro Paese ha assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo. Ma prima di tutto è urgente realizzare un modello di organizzazione che operi dentro la società civile, dando finalmente al cittadino tutti i poteri che, anche quando si tratta di fare politica, egli giustamente pretende e che gli vanno riconosciuti. Da quello di eleggere direttamente i rappresentanti che egli ritiene più idonei, per la loro funzione, a quello di designare direttamente le persone che devono entrare a far parte di amministrazioni e istituzioni pubbliche, per non parlare poi delle strategie e delle priorità che riguardano i programmi. Lo abbiamo detto più volte, ma vale la pena di ripeterlo: è finita l'epoca in cui l'elettore si limitava a firmare cambiali in bianco al deputato, all'assessore o al consigliere comunale di turno, per poi scomparire di scena fino alla prossima consultazione. Ora è il cittadino che vuol fare politica in prima persona, decidendo nomi, cognomi e poi anche priorità dei programmi su cui devono lavorare giunte regionali, sindaci e poi Governo centrale e Parlamento. Ecco che allora, al posto della casta politica attuale, autoreferenziale, verticistica e spesso pletorica e improduttiva, subentra una nuova classe dirigente: quella dei cittadini.
Questo è lo spirito che anima chi sta lavorando nel nostro movimento e nel Popolo della Libertà. Questo è l'obiettivo di chi, seguendo la "rivoluzione del predellino" di Silvio Berlusconi, si sta impegnando a cambiare il volto della politica. Quando gli italiani finalmente potranno tornare alle urne - e sono certa che aderiranno in massa alla proposta del Popolo della Libertà - pretenderanno il doppio impegno che ci siamo solennemente presi: quello del Governo, per risanare, gestire e poi rinnovare questo Paese, realizzando le riforme che saranno necessarie; ma anche quello di non considerare mai più i cittadini dei semplici numeri su cui contare solo al momento delle elezioni.
In Italia deve ripartire quella grande rivoluzione liberale necessaria per ridare futuro al Paese.
Michela Vittoria Brambilla
lunedì 21 gennaio 2008
Prodi alla Camera: forse chiederà la fiducia
Roma - La crisi di governo non è ancora in atto, nonostante la dissociazione pubblica di Clemente Mastella dalla maggioranza, ribadita per iscritto in una lettera a Romano Prodi. Manca l'atto formale: la comunicazione delle dimissioni del presidente del Consiglio al capo dello Stato, che non è ancora avvenuta, e non solo per il protrarsi fino a tarda notte delle riunioni di maggioranza a Palazzo Chigi. Prodi, confermano fonti parlamentari dell'Unione, vuole "parlamentarizzare" questo passaggio, presentandosi alle Camere e chiedendo una verifica della fiducia. La modalità sarebbe stata illustrata al telefono, in serata, da Prodi al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Poi, il premier ha chiamato il presidente della Camera Fausto Bertinotti e gli ha chiesto di poter rendere "comunicazioni urgenti" domattina a Montecitorio. Alla Camera era già previsto che Prodi, in veste di ministro della Giustizia ad interim prenda la parola per il dibattito sulla relazione sullo stato della giustizia redatta dall'ex ministro Clemente Mastella. Le comunicazioni di Prodi dovrebbero essere ripetute al Senato, aprendo in entrambi i rami del Parlamento un dibattito, a conclusione del quale Prodi trarrà le conseguenze, chiedendo il voto o andando al Colle a rimettere il mandato. Diversamente da quel che può apparire, è un modo per semplificare le procedure e sapere se nelle Camere esiste la possibilità di proseguire il mandato. Di solito, infatti, di fronte ad una crisi che si apre con dichiarazioni politiche rilasciate fuori dal Parlamento, il presidente della Repubblica chiamato a svolgere il ruolo di arbitro costituzionale e di garante dell'esistenza del rapporto di fiducia fra esecutivo e Parlamento, per prima cosa chiede al premier dimissionario di andare alle Camere a verificare la situazione. Napolitano si era predisposto mentalmente a ricevere la visita di Prodi già mercoledì scorso, dopo le dimissioni del ministro Mastella annunciate nell'aula della Camera e tamponate con l'interim al premier. Napolitano seguiva con attenzione gli sviluppi della situazione politica. Al Colle non sono sfuggiti altri sintomi di indebolimento della maggioranza, a cominciare dalle dichiarazioni di Lamberto Dini e dai distinguo e dalle dissociazioni di vari spezzoni della maggioranza sul caso del ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, messo sotto tiro al Senato con una mozione di sfiducia individuale, da votare dopodomani. Per non dire della decisione della Consulta, resa nota lo stesso giorno delle dimissioni di Mastella, di ammettere tutti e tre i referendum sulla legge elettorale, che ha ridotto gli spazi di manovra parlamentare per riformare il sistema di voto. Oggi Napolitano ha dedicato la giornata a scrivere il discorso previsto mercoledì a Montecitorio per celebrare il 60/o anniversario della Costituzione, ma ha tenuto un occhio sulla situazione del governo. Domani probabilmente dovrà dedicarvi tutta la sua attenzione. Come undici mesi fa, quando il governo Prodi inciampò al Senato in due votazioni e, dopo le consultazioni al Quirinale, fu rinviato alle Camere.
(il giornale)
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