giovedì 20 settembre 2007

ALL'ITALIA SERVE UN GOVERNO MENO RIDICOLO


Sono giorni che il pallino della politica, sembra nelle mani di Beppe Grillo. Ridicolo. Non per le provocazioni del comico agguerrito, ma per la reazione altalenante che si è vista a sinistra. C'è chi ha cercato di arruolarlo, mostrando di gradire oltre il lecito gli insulti e i (per ora) metaforici calci si sa dove. Chi invece ha provato a esorcizzarlo, dopo essere rimasto sorpreso di non trovarselo al fianco, anzi di vederselo contro invece che dalla sua parte. Qualunque sia la motivazione con cui Grillo ha inscenato questa protesta mediatica, di certo ha colto nel segno di una insoddisfazione che no n ha bisogno di chiose o di commenti. Ma di politica, politica vera. E capacità di governo. L'una e l'altra da un anno e mezzo sono diventate merci introvabili in Italia.
E poi si grida all'antipolitica! Macché! Gli italiani hanno voglia di partecipazione e di politica, ma hanno voglia di cambiare, chiedono un Paese moderno, dove poter ricominciare a contare sulla propria libertà, e non sull'eredità di lobby e corporazioni intoccabili.
L'insofferenza che emerge nel Paese non riguarda tutto e tutti. È indiscutibile che è stato soprattutto questo Governo che ha esasperato un grandissimo numero di cittadini e per due precisi motivi. Primo: perché, massacrandoli di nuove tasse, imposte, gabelle e tariffe, l'Esecutivo di Prodi ha tolto loro non solo la voglia di lavorare, ma soprattutto la speranza di costruire qualcosa di nuovo e di buono. Secondo: perché i progetti di riforma formulati dalla sinistra si sono rivelati soltanto bolle d'aria e tali resteranno a causa dell'ormai comprovata incapacità dei partiti di questa coalizione di trovare su di essi nemmeno uno straccio di intesa.
L'ultima bolla d'aria è di queste ultime ore. Il ministro Nicolais - lo stesso che un anno e mezzo fa aveva detto che la Pubblica amministrazione aveva almeno 500-600mila dipendenti di troppo, senza far nulla di conseguente - si è risvegliato dal torpore. E ha formulato un progetto di ristrutturazione del pubblico impiego che più velleitario, farraginoso e anche costoso di così non avrebbe potuto essere. Il ministro, infatti, per sfoltire i quadri della Pubblica amministrazione vorrebbe imporre o comunque agevolare il prepensionamento di decine di migliaia di dipendenti, riconoscendo ovviamente loro, oltre la liquidazione, anche una congrua buonuscita. E poi conta di assumere un nuovo addetto - mediante concorsi, bontà sua - ogni tre prepensionati.
Siamo alla solita propaganda, pasticciona e inconcludente, E soprattutto onerosa per lo Stato. Quindi per le nostre tasche. Questi prepensionamenti (con tanti soldi di buonuscita) comporterebbero per l'amministrazione pubblica ingenti oneri aggiuntivi che vanificherebbero, per molti anni, ogni piano di reale e congrua riduzione della spesa. E poi, per ogni stipendio in meno, ci sarebbe, per l'Inpdap (l'istituto di previdenza pubblico) cioè sempre per lo Stato, una pensione in più e quasi dello stesso importo. Poi c'è da scommettere che a prepensionarsi sarebbero gli elementi migliori, quelli cioè che, uscendo dall'ufficio pubblico, potrebbero offrire le loro competenze a qualche privato, per arrotondare la pensione e per rimanere produttivi.
Ci sarebbe una via maestra per un Governo che volesse seriamente ristrutturare la pubblica amministrazione: bloccare il turn over in tutte le amministrazioni pubbliche, ad eccezione di quelle più direttamente impegnate in servizi essenziali. Chi va in pensione non viene sostituito. Fino a ridurre l'organico di quel tanto (tantissimo) che oggi è esuberante. Ma si potrebbe anche fare di più, finalmente: ripensare tutti i contratti del pubblico impiego in modo da legarli saldamente - oggi non esiste alcuna norma del genere - alla produttività. Come nel settore privato.
Un'altra iniziativa, rapidissima, si potrebbe intraprendere per dare un segnale: farla finita con ministeri, enti e strutture burocratiche del tutto pletorici. E inutili. No, anzi, utili solo al sottogoverno che deve accontentare una coalizione composta da dieci partiti. Ma ci vuol ben altro Governo e ben altra politica per fare queste cose. Di Prodi, lo dice persino Grillo, il Paese non sa più che farsene. E non c'è niente da ridere.

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